Salvatore
Enne
(Bolotana 1942 - )
Quarto dei dieci figli di
Giuseppe Carbone, dilettante di poesia, e di Francesca Cardu,
casalinga, Salvatore Enne visse un’infanzia difficile segnata duramente
da notevoli ristrettezze economiche ma sorretta con amore e tenerezza
dal calore della famiglia. Fino a 18 anni si dedicò al disbrigo delle
occupazioni domestiche, contribuendo al sostentamento della numerosa
famiglia. Temprato nel corpo e nello spirito da un tale apprendistato,
crebbe forte e vigoroso tanto da dedicarsi con un discreto successo,
alcuni anni dopo, alla difficile arte della
box.
La vita
da emigrato influì profondamente nella sua esistenza tanto da
condizionare e segnare in maniera indelebile la sua posteriore
produzione poetica. Proprio nelle poesie legate alla vita da emigrante
si possono cogliere alcune composizioni di viva e sincera poesia,
caratterizzate da un’intensità di sentimento e di dolore difficilmente
riscontrabili nelle altre opere. Emerge prepotente il profondo legame
con la propria terra e le proprie tradizioni, un lacerazione dolorosa
in cui si avverte fortissimo il desiderio di tornare, l’intimo dissidio
tra le angustie materiali ed il calore del focolare domestico, il
dramma dello sradicamento sociale e culturale che migliaia di sardi
vissero nei tristi anni della grande emigrazione degli anni ‘60; dramma
che vorremmo tanto fosse solo un lontano ricordo del passato.
La
sua esperienza poetica si inserisce nel filone, assai ricco in
Sardegna, dei cantori popolari estemporanei di poesia in limba.
Poeti in tono minore certo, sconosciuti al grande pubblico, estranei ai
circuito letterari, ma spesso dotati di una vena artistica autentica.
Creatori di opere di indubbio valore letterario vivono e sentono la
poesia nel fluire quotidiano delle piccole cose, come componente
essenziale dei piccoli grandi eventi che segnano le loro esistenze di
colti dilettanti di poesia, legati ad una visione poetica
della realtà quotidiana che vivono senza contaminazioni letterarie e
con limpida sincerità e sentimento. Senza le sottigliezze formali e le
artificiosità dei poeti di professione hanno una visione semplice e
sostanziale della poesia, intesa come legale intimo e arcaico con la
memoria storica della nostra isola. Come i grandi poeti antichi non
studiano composizione, sentono col cuore le melodie, avvertono i toni,
i canti, i sentimenti in completa sintonia con i palpiti e le
pulsazioni dei loro più intimi pensieri, in armonia con la realtà in
cui vivono, con la semplicità e la naturalezza dei loro piccoli gesti
quotidiani. Non hanno velleità letterarie si limitano a vivere ed a
comporre, dove comporre ha per loro una intima equivalenza con il
vivere.
(Giuseppe Cabizzosu)
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